Dopo aver parlato qui (Quando l’Italia rimase al buio: il blackout del 28 settembre 2003) del grande blackout che colpì l’Italia nell’ormai lontano 28 settembre 2003, approfondiamo qui, adottando un linguaggio il più possibile semplice, gli aspetti principali riguardanti questa materia nota perlopiù solo agli addetti ai lavori.
Risulta difficile elencare tutti i disagi che può provocare un blackout; essi riguardano l’illuminazione, la refrigerazione, il riscaldamento, la vita in casa, le telecomunicazioni, i trasporti, il settore sanitario e l’industria. Come è evidente per qualsiasi settore tecnologico, non si può escludere a priori la possibilità di guasti alle reti elettriche; ma se quelli che riguardano gli impianti e le linee di distribuzione, in bassa tensione (BT) a 230/400 V (Volt) e in media tensione (MT) a 20.000 V, in genere riguardano territori circoscritti – quartieri, paesi, città – e un numero relativamente ridotto di abitanti, ben più rilevanti sono i disservizi che si innescano sulle reti di trasporto energia in altissima tensione (AAT) con voltaggio di 380.000 V o 220.000 V, coinvolgendo regioni e talvolta più stati. Parleremo quindi di reti, della frequenza di rete, dei generatori, cosa avviene in un blackout esteso, come viene ripristinato il servizio normale e come ci si difende.
La rete
Le reti elettriche collegano a vari livelli di tensione, in base alle distanze da coprire, i luoghi di produzione tra loro e all’utenza; per cui con distanze elevate vengono adottate tensioni più alte per minimizzare le perdite. Sono sistemi estesi geograficamente e ad elevata complessità, strutturati con linee dorsali e diramazioni che fanno capo ad impianti di generazione, smistamento e trasformazione della tensione; può essere interessante sapere che la rete di trasporto dell’Europa continentale è la più grande rete elettrica sincrona al mondo (cliccare qui per visualizzare la mappa); essa è interconnessa come una singola rete elettrica, con frequenza a 50 Hz (Hertz) e fornisce oltre 400 milioni di clienti in 24 paesi. Con il termine “sincrona” si intende che i generatori sono collegati elettricamente tra loro, mantenendo costanti i loro giri e quindi il valore della frequenza, in modo da permettere lo scambio commerciale di energia e il reciproco soccorso tra reti nazionali. Non tutti gli stati però adottano il valore di frequenza di 50 Hz, in tutto il nord America e in Giappone la frequenza di rete è 60 Hz. Parlando di reti elettriche va anche riferito che, negli ultimi quindici anni, ci sono stati importanti cambiamenti legati alla diffusione delle fonti di energia rinnovabili, in particolare della generazione da fotovoltaico; dal vecchio concetto di generazione centralizzata, con poche grandi centrali elettriche che alimentano l’utenza anche a elevata distanza, si è passati ad un nuovo modello di generazione, cosiddetta distribuita (GD), nel quale numerosi punti di consumo sono diventati anche punti di produzione.
La frequenza di rete
La frequenza è uno dei parametri fondamentali della tensione alternata presente sulle nostre reti e al valore di 50 Hz, stampigliato su tutti i dispositivi elettrici che usiamo, la tensione oscilla (da cui il termine “alternata”) 50 volte al secondo a causa del movimento degli elettromagneti che ruotano all’interno dei generatori; la rapidità delle variazioni fa sì che le oscillazioni non siano visivamente percepibili sulle lampade. La frequenza è quindi direttamente proporzionale alla velocità di rotazione delle turbine e dei relativi generatori e, per usare un’espressione di TERNA, il nostro attuale TSO – Trasmission System Operator ovvero l’operatore (gestore) della rete di trasmissione dell’energia, “… in un sistema elettrico, ogni squilibrio tra generazione e fabbisogno in potenza causa un transitorio in cui, nei primi istanti, si verifica una variazione dell’energia cinetica immagazzinata nei motori e negli alternatori connessi e in esercizio.
L’effetto evidente è una variazione di frequenza rispetto al valore nominale …“; si evince quindi che essa è il principale indicatore del corretto funzionamento del sistema elettrico nel suo insieme e viene pertanto mantenuta perfettamente costante; va anche precisato che i gruppi di generazione sincroni, categoria a cui appartengono quelli di grande taglia, hanno la capacità intrinseca di “resistere” alle variazioni della frequenza o di smorzarle (caratteristica che molte tecnologie per le fonti energetiche rinnovabili non hanno). Le variazioni di frequenza devono quindi essere rapidamente compensate, mediante aumento o riduzione della portata dei flussi di acqua o vapore verso le turbine ed eventualmente anche con l’avvio di altri generatori; le modalità per il riequilibrio sono stabilite dal Codice di Rete di TERNA nell’Allegato A.15; in tale documento sono precisati i requisiti relativi ai generatori di potenza superiore ai 10 MVA (megavolt-ampere – unità di misura adottata per indicare la potenza di generatori e trasformatori) e le diverse modalità di compensazione denominate Regolazione Primaria, Regolazione Secondaria e Regolazione Terziaria; esse si distinguono tra loro principalmente per la diversa durata e tempistica di intervento; in particolare gli scostamenti della frequenza di rete, al di fuori di un intervallo detto “banda morta intenzionale” di circa ±0,01 Hz rispetto al valore 50 Hz, attivano gli automatismi della regolazione primaria che tengono conto dell’entità degli scostamenti e di un parametro detto grado di “statismo”, preimpostato nel generatore, determinando una maggiore o minore azione regolante.
Alcune di queste attività di regolazione, dette anche “servizi ancillari”, sono svolte continuamente dai generatori, sono remunerate e oggetto, tramite apposite piattaforme informatiche – di fatto una borsa elettrica – di contrattazione economica preventiva nel cosiddetto Mercato per il Servizio di Dispacciamento (MSD) e in tempo reale nel Mercato di Bilanciamento (MB); analogamente al Mercato del Giorno Prima (MGP), dove però avvengono le negoziazioni d’asta, per il normale fabbisogno prevedibile di energia. Con il termine “dispacciamento” si intende l’attività, in Italia svolta dal GME – Gestore dei Mercati Energetici Spa (società a intera partecipazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze) per equilibrare consumi e produzione di energia.
Quando avviene un blackout
Le linee facenti parte delle reti sincrone, che attraversano e interconnettono gli stati, hanno evidenziato una loro fragilità al verificarsi di situazioni non ben previste; tale fragilità è legata anche alla complessità nello stimare i flussi di energia, che come sappiamo seguono le leggi dell’elettrotecnica (leggi di Kirckhhoff), quando cambiano gli assetti delle reti e che, ricordiamo, sono magliate e non semplicemente radiali; non giova infine il fatto che talvolta tali flussi attraversino anche più reti nazionali.
I problemi possono manifestarsi quindi al verificarsi di sovraccarichi non ben previsti e di guasti per maltempo, alluvioni, terremoti, incidenti, che possono provocare il cedimento strutturale degli elettrodotti; sono pure temuti anche atti di terrorismo e cyber-terrorismo, ma diversi sono stati i casi innescatisi a seguito dell’errata pianificazione delle procedure di disalimentazione per eseguire lavori o attività programmate (per es. caso in Germania del 4 novembre 2006).
Il criterio di sicurezza denominato “N-1”, considerato dai gestori di rete europei, nel far funzionare le reti elettriche, prevede che il fuori servizio accidentale di un elemento di rete (generatore, linea, nodo) non determini crisi nel sistema. Purtroppo il 28 settembre 2003 in Svizzera venne a crearsi la condizione N-2, cioè con due linee ad altissima tensione fuori servizio per forte sovraccarico, che determinò il collasso del sistema elettrico italiano.
Cosa avviene in un blackout
La perdita (scollegamento) accidentale di uno o più elementi della rete, generatore o linea, può sviluppare una catena di eventi, talvolta incontenibile, caratterizzata dall’auto-distacco degli altri generatori e linee. Nello specifico tale perdita, e il conseguente deficit di potenza immessa nel sistema, sovraccarica gli altri generatori e ne induce il rallentamento a causa dell’aumento degli sforzi elettromeccanici; avvengono quindi cali di frequenza generalizzati che, se non vengono immediatamente compensati mediante automatismi o manualmente, quando raggiungono valori estremi al di fuori dell’intervallo 47,5 Hz – 51,5 Hz (valori previsti dalla normativa italiana e, salvo alcune eccezioni, anche europea), provocano la disconnessione dei generatori stessi per evitarne il danneggiamento, trovandosi questi a funzionare con regimi di rotazione anomali nei quali vengono sottoposti a sforzi meccanici al di fuori degli standard per i quali sono stati progettati. In questi gravi contesti anche le linee elettriche in alta (AT) e altissima tensione (AAT), che collegano le centrali rimaste connesse, possono scollegarsi per l’aumento di carico che ne consegue; intervengono quindi le relative protezioni quando le correnti circolanti superano i limiti di funzionamento. I tempi di evoluzione di questo genere di blackout possono essere molto rapidi: per il caso italiano del 28 settembre 2003 furono sufficienti 150 secondi (due minuti e mezzo) per giungere al collasso di tutto il sistema elettrico nazionale.
Uscire dal blackout
In condizioni di rete elettrica in stato di blackout, ai fini del suo ripristino ogni gestore di rete nazionale mette in atto una strategia di riavvio (black-start) che deve avere già predisposto, in Italia si chiama PdRR (Piano di Rialimentazione e Riaccensione) che è l’Allegato A.10 del Codice di Rete predisposto da TERNA; esso fornisce l’insieme delle procedure preordinate e dettagliate – anche in assenza di telecomunicazioni – per la ripartenza.
Senza disporre di procedure predefinite, il riavvio rapido di un sistema elettrico “spento”, diverrebbe un’operazione estremamente difficile e lunga. Sappiamo infatti che alcune centrali, in particolare le termoelettriche di grossa taglia, non sono in grado di riavviarsi autonomamente senza una fonte esterna di energia elettrica, per es. da centrale idroelettrica oppure turbogas e devono pertanto essere prioritariamente connesse a queste tramite linee elettriche definite “direttrici di riaccensione”, ovvero dei collegamenti privilegiati, ottenuti mediante opportuni azionamenti di interruttori per l’inclusione ed esclusione di porzioni di rete. Va altresì ricordato che per ogni generatore che viene progressivamente riconnesso, deve anche essere inserito un adeguato carico (utenze della distribuzione) definito di zavorra per evitarne il fuorigiri, modificando l’assetto delle linee elettriche; in caso contrario potremmo avere ulteriori nuovi blocchi se il carico fosse in eccesso oppure scarso. In queste situazioni le problematiche si amplificano, poiché le operazioni di ri-connessione (parallelo) tra generatori e rete possono diventare estremamente difficoltose, nei tentativi di sincronizzarli perfettamente, alla stessa frequenza di 50 Hz, regolando la loro velocità di rotazione.
Nel prossimo articolo continueremo il nostro percorso per capire le problematiche della rete e parleremo delle possibili strategie di difesa attuabili per evitare o limitare i blackout.
Conosco abbondantemente la materia, avendo lavorato in SENN, ENEL, Enel Produzine SpA, per complessivi 40 anni. Nel caso specifico, conosco la procedura di riaccensione: Da Pietrafitta, Perugia, Umbria, tramite le Unità PF3 e PF4 (turbogas di prima generazione, a ciclo aperto, avviabili con diesel di lancio) e tramite le linee a 132 KV Pietrafitta- Cappuccini ( Foligno ) verso Bastardo, si forniva l’energia necessaria a rilanciare le due unità BT1 e BT2 per complessivi 140 MW, con questo si proseguiva nelle alimentazioni di altre centrali, ma anche di utenze per ristabilizzare la rete coinvolta.
Certamente è già predefinita la procedura (e lo era anche il 28 settembre 2003), che deve anche essere rivista e provata periodicamente.
Purtroppo quel 28 settembre, la riaccensione incontro difficoltà enormi e risultò che al centro-sud Italia non venne completata la predisposizione delle essenziali direttrici di riaccensione. Risultò anche che circa la metà delle centrali termoelettriche si sganciò ben prima dei 47,5 Hz previsti dal Codice di Rete, cosa che accelerò il collasso della rete.